Gente del Quindicesimo

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Cari Amici
di Carla Angelucci

Cari Amici,

è un po’ tardi e non è da molto che sono rientrata a casa, ma voglio assolutamente condividere con voi le sensazioni e le emozioni di una giornata decisamente intensa.

Oggi ho trascorso tutta la giornata nella Sala Operativa del 72° Stormo di Frosinone dove, in coordinamento con il BOC e l'Unità di Crisi, abbiamo gestito varie missioni che operavano nella zona ed utilizzavano l'aeroporto di Frosinone come punto per il rifornimento carburante, per lo sbarco feriti e l'imbarco di personale specializzato. Probabilmente la cosa vi farà sorridere poiché le emergenze che siete soliti fronteggiare sono ben più serie e reali, però per me questa è stata la prima esperienza ed è stata importante.

ANH 500rid Frosinone l'aeroporto è completamente sommerso dalla neve, comprese le vie di rullaggio e le piazzole di atterraggio. Sono state liberate dalla neve una piccola piazzola per il traffico di base ed una seconda piazzola leggermente più grande per il traffico non di base. I nostri NH-500 hanno fatto delle missioni operative, nulla di particolarmente complicato, però dovevate vedere con quale attenzione scrivevo tutti i dati che mi venivano forniti via telefono dal BOC per poterli poi riferire con la massima precisione ad ogni equipaggio pronto al decollo: cercare i punti di atterraggio sulle cartine, individuarli su google map per farne una copia, passare il piano di volo, controllare le condimeteo, preparare i giubbetti da portare a bordo. Tutto ciò mi ha fatto sentire un importante anello di una catena che era lì per fare il proprio dovere, per portare soccorso.

Dopo circa 50 minuti dal decollo di uno dei nostri elicotteri sono stata contatta dalla  TWR: "Carla riesci a metterti in contatto con l'equipaggio?...Non li sento da più di 30 minuti..." è stato un momento particolare...subito sono partita con le telefonate, i messaggi, le telefonate a coloro che erano sul punto ed alla fine è giunto il messaggio più bello che abbia mai ricevuto "Normali operazioni, stiamo operando sul punto, non riusciamo ad avere contatti radio"...che respiro di sollievo!!!

Ovviamente non è mancato l'arrivo di un HH-3F da Pratica di Mare che aveva effettuato il soccorso di una famiglia di un vicino paese. In questo caso l'emozione è stata tanta e dopo tutti i coordinamenti, una volta che il ferito era stato portato via dall'ambulanza, l'elicottero era in fase di rifornimento e tutto il resto era sotto controllo...l'abbraccio affettuoso e sincero con gli amici Leoni è stato a dir poco fantastico!!! Domani sarò nuovamente in Sala Operativa e dopodomani invece sarò nel primo equipaggio d'allarme e sarò in volo come anche nel fine settimana. Non riesco ad esprimere pienamente le mie sensazioni di questo momento perché non si può dire di essere contenti per una situazione di emergenza come questa, ma sono contenta perché mi sento d'aiuto, sento che la mia presenza, anche se è solo una piccolissima goccia nell'oceano, è comunque utile ad un recupero.origfine importante. Questa forse è la prima volta che riesco a comprendere pienamente le parole che ho sempre sentito dalla Gente del Quindicesimo. Vi ho sempre guardato con la massima ammirazione chiedendomi se mai un giorno anche io avrei potuto fare anche una millesima parte di quello che avete fatto voi, di quello che traspariva dai vostri racconti e dai vostri occhi. Oggi ho compreso le vostre parole. In queste poche righe voglio ringraziarvi ancora una volta per quanto mi avete insegnato, per la fiducia e l'affetto che mi avete sempre mostrato e che mi ha permesso di acquisire la necessaria fiducia in me stessa per gestire con sicurezza situazioni sconosciute. Forse questa è un'altra delle grandi lezioni di vita che mi avete dato, quella di buttarmi consapevolmente, di agire senza farsi bloccare dalla paura di sbagliare.

Oggi...ma non è solo oggi, è ogni giorno...anche se oggi un po’ di più, ho portato nel cuore i vostri insegnamenti e la vostra passione.

 
Grazie Amici, grazie di cuore.

Prima partenza
di Maurizio Gentili

 

hh3fmareLa serata si era conclusa come tante altre, ma la nottata celava una “grande” sorpresa.

Mi ero da poco addormentato quando 15 minuti dopo la mezzanotte vengo svegliato dallo squillare del cellulare, sempre acceso sul comodino: l’operatore della Sala Operativa di Reparto (SOR) mi comunica che la nostra prontezza SAR era stata ridotta dai classici 120’ a 30’ per decollare.

Come tante altre volte in questi anni mi alzo e mi preparo per andare al lavoro, ma continuo a chiedermi cosa sta accadendo per portare la prontezza a 30’ in piena notte. Mentre percorro la strada che mi divide dalla base di Pratica di Mare vengo pervaso da una strana sensazione che non riesco a comprendere, ma che mi mette addosso una strana agitazione. Più mi sforzo di capire cosa sia, più non trovo una spiegazione alla domanda.

 

Arrivato in base noto che la palazzina è aperta, ma le luci sono ancora spente ad eccezione della stanza dove si trova la SOR. Entrando l’Operatore mi accoglie con un “ecco il Capo Equipaggio. Sei arrivato per primo”. Ecco cosa era quella strana sensazione! In passato ero partito d’allarme sempre come Secondo Pilota, ma adesso partirò come Capo Equipaggio, non ci sarà nessuno più esperto a gestire la missione, nessuno più esperto a gestire il resto dell’Equipaggio, nessuno più esperto a correggere eventuali errori, quello più esperto adesso sono io!

Ripresomi dallo smarrimento iniziale, chiedo cosa sta succedendo e l’Operatore mi risponde che una nave da crociera, la “Costa Concordia”, si è incagliata presso l’Isola del Giglio e che le operazioni di salvataggio delle circa 4200 persone presenti a bordo sono iniziate, ma ce ne sono altre che non riescono a raggiungere le scialuppe di salvataggio.

elicottero hh 3f foto d archivioMentre comincio a reperire le varie informazioni arriva l’esecutivo, l’ordine di decollo, dall’RCC di Poggio Renatico; il momento è giunto. Nel frattempo vengo raggiunto dal secondo Pilota ed insieme decidiamo di rabboccare un po’ di carburante in modo da avere una maggiore autonomia, ma senza sovraccaricarci troppo così da avere anche la possibilità, una volta arrivati sul luogo del naufragio, di caricare a bordo eventuali naufraghi senza andare fuori con i pesi. L’esecutivo comunque prevede di raggiungere le coste dell’Isola del Giglio e contattare un altro elicottero in zona per ricevere ulteriori disposizioni. Insieme al secondo Pilota mi ricongiungo con il resto dell’equipaggio, che ha intanto preparato l’elicottero, e comunico loro la missione che andremo a svolgere. Si discute della possibilità di imbarcare un altro Aerosoccorritore, in maniera di aumentare le capacità di operare in mare, e decido di procedere in tal senso.

Ci siamo, alle 01.00 Zulu, le 02.00 locali la R-IME decolla alla volta dell’Isola del Giglio. Le 80 miglia nautiche che ci separano dal luogo del naufragio sembrano non finire mai, ma mi permettono di notare tantissime sfumature che in tutte le missioni precedentemente svolte non avevo mai notato; il secondo Pilota sta facendo un lavoro egregio, tanto da non sentire la necessità di chiedergli nulla, gli Operatori di Bordo, gli Aerosoccorritori e l’Assistente di Sanità sono sereni; tutto procede alla stregua di una normale missione addestrativa e la tranquillità che regna mi rasserena molto, facendomi capire che la fiducia che io pongo nel resto dell’Equipaggio è contraccambiata.

Il tempo passa e la zona di operazioni si avvicina. Da lontano, grazie ai visori notturni, cominciamo a scorgere la scena del disastro, la nave da crociera, già inclinata di 80°, sembra un tutt’uno con il porto del Giglio, ma più ci avvicinavamo e più i contorni della tragedia si delineano meglio, e le luci che corrono lungo la fiancata bianca non sono delle calme e rassicuranti luci posizionate sulla terraferma, sono bensì le frenetiche luci dei giubbetti di salvataggio dei passeggeri che discendono in fila indiana lungo la fiancata della nave.

Prossimi alla zona di operazione iniziamo i vari coordinamenti per operare, ma scopriamo, con sorpresa, che esiste già un altro R-IME. Veniano quindi rinominati prima R-ILE e successivamente R-IMF, nominativo che finalmente ci consente di iniziare le nostre attività di ricerca di eventuali passeggeri in acqua. Iniziamo a volare bassi sul mare, con tutti i membri dell’Equipaggio che scrutano l’acqua alla ricerca di eventuali dispersi. Volare a bassa quota sul nero mare facendo lo slalom tra le imbarcazioni impiegate nelle operazioni di salvataggio, ci porta inevitabilmente in prossimità della nave Concordia; lo spettacolo lascia me ed il mio equipaggio senza parole. La “mortale ferita”, lunga 70 metri sullo scafo della nave, è impressionante, ma noi non siamo lì per turismo e perciò continuiamo imperterriti nella nostra ricerca, anche se alla fine non troviamo nessuno.

Mentre per l’ennesima volta sorvoliamo le acque intorno al relitto veniamo contattati dall’On Scene Commander (OSC) che ci lascia il compito perché ha terminato il carburante e deve rientrare presso il vicino aeroporto di Grosseto. Di punto in bianco nella mia prima missione da Capo Equipaggio divento non solo responsabile dell’Equipaggio che ho a bordo, ma anche responsabile del coordinamento dei mezzi aerei che stanno prestando assistenza.

Saliamo a 2000 piedi sulla zona di operazioni, quota che ci consente di avere una migliore visione della scena e grazie all’egregio lavoro svolto dal secondo Pilota i coordinamenti procedono senza problemi.

Quando, dopo circa tre ore di volo con i visori notturni montati, arriva il limite dell’autonomia e siamo costretti a lasciare la zona di operazioni per atterrare, la situazione si è stabilizzata. Gli sfortunati passeggeri della nave si incamminano come tante formiche in fila indiana sui natanti ai piedi del gigante marino che giace su un fianco, mentre chi doveva essere evacuato con il verricello è già stato evacuato.

Alle 5 della mattina, in avvicinamento presso l’aeroporto di Grosseto, la stanchezza comincia a farsi sentire. L’adrenalina, dopo la sua funzione stimolante, lascia spazio alla spossatezza mentre le luci della pista sembrano non avvicinarsi mai; al suolo i componenti del mio Equipaggio svolgono i loro compiti, stanchi ma sereni, segno che la mia prima missione operativa si è svolta come si doveva svolgere.

Quelli che...la sala operativa 
di Antonio Toscano

Una vera squadriglia, o meglio una quadriga, dove non c’era nessun capo o sotto che dir si vogli.   Montavano per ventiquattro ore di fila, mangiavano e dormivano senza alcun lamento, in quella specie di posto di comando, al piano superiore del vecchio hangar, attrezzata come in Stark Treck dove c’era il signor Sulk che portava la nave spaziale ad ipervelocità 4.

Telefoni e radio erano gli ingredienti necessari, alla consolle, o meglio ai fornelli, un gruppo scelto che s’alternava 24 su 24, Natale, Pasqua, “Pifania” e feste comandate, in un’unica soluzione di continuità.

C’era il famosissimo Fasano, che ebbe a proferire la famosa frase storica “Comandà!! É scoppiato l’allarme…!!!”, Ciccio Sgrenci, era uno di loro e ben conosce le storiche vicissitudini dei turni sempre più stretti, con Ventriglia con la sua erre moscia.

Chi non ha provato, poco immagina cosa vuol dire essere sempre in turno. La verità è che questo ruolo sapeva di sacrificio, perché dormire e mangiare ogni quattro giorni, per anni ed anni, è sicuramente un ruolo che poco s’adatta a chi vuole essere presente quando i figli crescono, quando le mogli imbiancano, quando sarebbe necessaria la presenza altrove, perché…tanti motivi che è meglio non elencare.

Comunque erano sempre loro che si organizzavano, si sostituivano, venivano incontro a necessità più o meno urgenti, insomma un gruppo autoregolato, come si direbbe oggi, con la giusta entropia (nu’ poco di termodinamica, così per diletto, applicata ai gruppi umani).

 

Gli anni dall’80 ai 90 sono stati densi di avvenimenti per il Quindicesimo e non c’era un giorno che il telefono squillasse a vuoto, c’era sempre uno di loro a fronteggiare ogni evenienza. Ed erano veramente tante.

Il tempo passava, dieci anni sono lunghi e la fatica di essere sempre inchiodato in quel posto, percuote anche la fibra più forte.

II figli e le mogli devono regolare le loro esistenze con un uomo che ogni quattro giorni s’assenta per lavoro…proprio oggi? Ma non puoi fare a meno? Possibile che non puoi essere sostituito? Ciò significa che la vita qualche volta diventa dura, qualche volta ti viene voglia di far saltare il banco, qualche volta la capacità di mediazione va a farsi benedire, perciò essere impiegati in un simile ruolo, importante e fondamentale per uno Stormo operativo sparso sulla penisola, vuol dire dedizione al compito, attaccamento al servizio, senso del dovere, ecc.ecc.

Ma vuol dire aver partecipato a tutti gli avvenimenti del Quindicesimo, facendo fronte alle richieste di chi era in volo o fuori sede.

Le cose capitano, come capitano, non ti chiedono il permesso, non sanno che c’è una vita altrove che ha bisogno di una costante presenza,

“Scoppiò” il terremoto dell’Irpinia, la Tito Campanella in Marocco, poi un tragico incidente in mare e mille altre esigenze, dove questo manipolo entropico fece fronte con la costante presenza e la dedizione al dovere.

La costante, un concetto matematico, ma anche umano che vuol dire in quella applicazione, trovare sempre e ad ogni ora del giorno e della notte, uno che ti risponde e che capisce quello che chiedi.. ciao sono Ciccio, che vi serve?

Dalla Somalia, quando “scoppiò” la Restore Hope, tramite una radio HF tutte le esigenze, anche le più estemporanee (ci servono gli spazzolini da denti), venivano esaudite, una specie di Genio delle Lampada che era a più di settemila chilometri di distanza.

Un filo diretto, senza passare per altri lidi, era ciò che teneva in collegamento una parte di Quindicesimo con la casa madre, non è poco: garantito!!!

I  soccorsi e le operazioni reali a cui era chiamato lo Stormo, passavano tutte per quel filo, anche le minuzie, chiamiamole così, come un pezzo di ricambio per gli elicotteri, una sostituzione per motivi di famiglia, una comunicazione banale come le notizie da fornire alla famiglia, visto che non era sempre disponibile la linea telefonica, visto che molte volte gli equipaggi erano proiettati indietro di mille anni.

Preziosi, molto preziosi; un capitale umano di grande valore che in quegli anni abbiamo avuto modo di possedere; eravamo ricchi, di amici, di colleghi, di gente che era sempre al proprio posto in qualsiasi momento.

In mezzo al mare, in volo di notte, sopra i monti pieni di neve, tutti gli equipaggi erano costantemente seguiti da quel piccolo grande uomo che non crollava mai per il sonno o per la stanchezza, ci voleva ben altro per piegare la resistenza di uno del Quindicesimo; non era una voce anonima del controllo del traffico aereo, era un amico che ascoltava e s’informava per provvedere alla necessità di carburante, di pernottamento fuori sede, di avvisare le famiglie del mancato rientro. Un amico vale un tesoro e noi l’abbiamo sempre avuto.

La grande organizzazione, quella di terra s’intende, poco capisce e poco è aperta, ancora tutt’oggi, a questa semplice ma fondamentale esigenza degli equipaggi, specie come era intesa allora la presenza di sette persone in una landa desolata come un aeroporto del nord, magari coperto di nebbia; un ospite, eri considerato un ospite e ti dovevi adeguare al fatto che i circoli e le mense chiudono a tal ora, nessuno mai pensava di tarare orari e servizi con l’operatività di uno Stormo da prima linea.

Per non parlare di un semplice automezzo per portarti agli alloggi o la disponibilità dei posti letto, lasciamo perdere.

Allo Stormo si vigilava, si monitorava, si provvedeva ad ogni che e soprattutto non s’abbandonava mai il filo diretto con i nottambuli che si divertivano ad andare per aria a quell’ora; al rientro c’era sempre il panino che quello li, quello della sala operativa, aveva provveduto a farti preparare, almeno non andavi a letto digiuno, come un ragazzino in punizione.

Erano anni di sacrificio “tecnologico”, non c’erano i cellulari ed i telefoni pubblici erano sempre in qualche circolo o mensa chiusa, ma alla radio sulla frequenza di Stormo, c’era sempre lui, il turnista amico…oppure l’amico turnista, meglio la seconda.

E quando rimanevi senza soldi e dovevi pagare il conto dell’albergo?

Più di qualche volta gli equipaggi si sono trovati in questa situazione precaria, a me è capitato e posso fornire luogo, nomi e date, ma l’amico a cui mi rivolgevo era sempre al mio fianco, il famigerato turnista.

Impegno, lavoro, dedizione, senso del dovere e del rispetto, ma soprattutto amicizia fraterna, quel principio che viene detto di “colleganza”, una cosa che lega un collega ad un altro, principio inalienabile che avevamo costruito in quel del Quindicesimo  Stormo: “Band of  brothers”.

 

 MAMMAJUT

Mai avrei immaginato una missione del genere
Cap. Marco MASCARI

 

hhconcordiaHo volato molti cieli del mondo e benché ogni volta lo spettacolo sembrasse essere unico...... questa volta lo è stato per la sua tragicità. Una nave da crociera sofferente in mare, ormai condannata a morte e riversa su di un fianco è uno spettacolo che ancora oggi mi turba profondamente. Il BOC mi chiama alle 10.00 per avvisarmi di una missione di ricerca naufraghi intorno alla Costa Concordia. I miei colleghi sono già intervenuti durante i primi drammatici momenti.

Corro in base, il buon Ten. Valerio Modugno, insieme ai Primi Marescialli Salvi, Carnevalini e Mattozzi, mi sta aspettando in sala operativa per pianificare la missione. Gli sguardi sono seri, la missione è di quelle che lasceranno il segno, le speranze di trovare qualcuno vivo si esauriscono con il passare delle ore. Dobbiamo muoverci! Corriamo all’elicottero, pronti all’APU, controlli AFCS, via al motore uno e subito al motore due. Tutto in ordine, i parametri sono in arco, pronti all’aggancio. “3.2.1 via”, ed il grosso e possente rotore dell’HH-3F inizia a fendere l’aria per arrivare ai giri previsti. Chiamata radio, missione RIMD pronta la rullaggio. Controlli in pista e decollo, verso l’isola del Giglio “monoprua” con il massimo delle prestazioni per ridurre il tempo di intervento. Il mare ci scorre sotto. Nessuno parla, tranne lo specialista che effettua il controllo nel vano di carico ogni 30 minuti. Dopo il traverso di Fiumicino un lungo tratto di mare prima dell’isola. Uno spettacolo surreale ci aspetta, voci concitate, tanti mezzi, in mare e in cielo, coordinati rispettivamente da CAPITANERIA e dall'APPROACH di GROSSETO che controlla lo spazio aereo interdetto al volo, tranne ai mezzi di soccorso.

 

Mentre mi avvicino inizio a vedere i contorni della nave. Ricorda una gigantesca balena spiaggiata, di quelle che si vedono spesso nei documentari in tv, quei confusi contorni diventano sempre più chiari, fino alla completa drammatica visione della COSTA CONCORDIA. C’è qualcosa di indegno in quella vista, qualcosa di immorale nel vederla coricata sul fianco. Provo pietà, quasi che la nave sia un essere vivente, ferito a morte. Viene quasi voglia di coprirla con un telo, per sottrarla alla vista, per compassione delle vittime. Ma ci sono altri che forse possono essere salvati e lo scoramento si trasforma in rabbia, quella lucida energia che serve a mettere anima e cuore nel tentare di salvare almeno un'altra vita, come i miei predecessori mi hanno insegnato e come tante volte mi hanno dimostrato.

Raggiungiamo il punto di inizio ricerca, che poi è la nave stessa. Valerio mi ha già comunicato la prua iniziale della ricerca ed il tempo da percorrere, via al contasecondi ed occhi fuori. Ma fuori non riusciamo a scorgere nessun survivor. Solo il mare crudele e cupo. Seguiamo il contorno dell'isola, sperando che magari qualcuno dei dispersi fosse venga restituito vivo, magari svenuto, sulle coste. Dentro di noi però sappiamo che se qualcuno fosse caduto in acqua e non fosse stato recuperato subito, difficilmente potrà essere ancora salvato. Troppe ore sono trascorse per la temperatura del mare in questo periodo. Ma abbiamo la nostra missione, vogliamo completarla bene, esplorando ogni possibilità, con cura e dedizione, come ci ha educato chi l'ha fatto prima di noi. Ogni passaggio potrebbe rivelare la presenza di qualcuno in difficoltà. Mi rendo conto che ancora una volta il 15° Stormo con l’HH-3F e il suo equipaggio rappresentano la differenza tra la vita e la morte. Nulla, ancora nulla, solo il cadavere della Concordia, una nave di lusso, di quelle che sono state create per far vivere dei bei momenti, quei momenti che restano sempre impressi con gioia negli album di famiglia. Ma non questa volta. Un brivido mi percorre la schiena immaginando quei momenti. É enorme, triste, bianca e macabra pur nella sua maestosità, esaltata dalla anomala posizione di gigante dormiente. Una posizione umiliante per una nave cosi bella. Il tempo passa, la ricerca è quasi completa, ma abbiamo ancora carburante. Una volta terminata la prima ricerca decido di ritornare all’inizio e ricominciare nuovamente, non si sa mai. Grosseto non è lontana, manterremo solo il carburante che serve a tornare alla base, il tempo è CAVOK e la fortuna di un elicottero è che non ha obbligo di atterrare solo su grandi e preparate piste, in ogni caso una zona abbastanza ampia posta in sicurezza con la possibilità di far arrivare una botte per il rifornimento è il minimo requisito. Niente, ancora niente. Poi il livello impietoso del carburante ci ordina di finire. Non c’è nient’altro da fare. Guardo la nave, non riesco ad abituarmi a quella vista. Provo tristezza, una profonda tristezza per quell’incubo. Penso al dolore ed alla paura delle persone, totalmente impreparate ad una simile catastrofe. La nave è immobile, ci passo un’ultima volta sopra, quasi un saluto estremo. Non credo che quella nave tornerà molto presto a solcare i mari, probabilmente mai più. “PRUA 025°” mi dice Valerio, “RIENTRIAMO”. É finita! Non possiamo fare altro”. Giro il nostro agile e mastodontico HH verso Grosseto, il sole sta ormai tramontando. Nessuno parla, la missione RIMD torna a casa, c'è lo sconforto e la delusione per non aver potuto concretizzare un aiuto.

Ma il destino è lì pronto ad offrirci un'altra occasione per riscattare il nostro orgoglio SAR. Dopo appena poche ore un'altra richiesta di intervento mette a dura prova un equipaggio non proprio avvezzo a certi tipi di soccorso, il recupero con barella di un infartuato da un mercantile Greco. Il tutto reso ancor più difficile da un mare forza 4/5 e raffiche di vento a 35 nodi. Gli schizzi sul parabrezza, i pennoni alti 50 ft, la prora di una nave di 130 mt che sale e scende a causa delle onde. Oltre 45 minuti di intervento per rilasciare ARS, MEDICO, ASSISTENTE DI SANITA' ed ovviamente barella su una nave che procede a oltre 10 nodi verso Gaeta. Dopo essere riusciti a stabilizzare il malato, abbiamo recuperato tutti. La destinazione è stata Latina dove già un'ambulanza era in attesa. Ancora prima dell'atterraggio il controllo ci dice che l'RCC ha già un altro TASK per noi, un malato in imminente pericolo di vita da recuperare a Ponza. Bisogna fare carburante e anche se l'equipaggio è pronto ad un’ulteriore missione, il Comandante di Centro preferisce farci riposare e sostituire l'equipaggio.

Momenti di gioia e orgoglio per uno Stormo che mai come ora si sente PRONTO ad INTERVENIRE!!!

 

Mammajut

AMMARAGGIO FORZATO (SECONDA PARTE)

di Antonio PILONE

 

A due mesi circa dallo spettacolare salvataggio dei due tedeschi in mezzo al Tirreno dopo l’ammaraggio del loro piccolo aereo, sono stato protagonista di un ammaraggio forzato con l’HH3F con permanenza in ammollo per circa quattro ore. Teatro operativo sempre il mar Tirreno, questa volta però più vicini alla costa, 30/40 NM dal Circeo. Comunque sempre a largo, mare abbastanza mosso, con tante “pecorelle bianche” sulle creste delle onde. Il mio secondo l’ormai inseparabile cap. Clemente, il tecnico il m.llo Catini e in più due “sfortunati” passeggeri, il ten. Zulini ed il ten. Quattrociocchi che, appena giunti al 15° ed in attesa di essere inviati alla scuola volo di Frosinone per conseguire l’abilitazione sugli elicotteri, non avevano mai volato su un elicottero e quindi “scelto” quel volo per il loro battesimo.

Era un venerdì di fine estate 1982. Una bella giornata di sole. Doveva essere un volo addestrativo tranquillo e rilassante, anche perché dopo il volo si chiudeva e ci aspettava un bel week-end. Arrivati nella zona di operazione iniziamo la nostra missione addestrativa che, se ben ricordo, prevedeva dei PATCH. Tutto si svolgeva regolarmente, seguiti anche nelle nostre manovre dagli sguardi attenti e meravigliati dei due passeggeri. Ad un tratto cominciamo a sentire puzza di bruciato, quello tipico di origine elettrica con fuoriuscita di fumo da dietro il pannello strumenti e dal vano pedaliera. In pochi secondi la cabina si riempie di fumo, apriamo i finestrini, ma il fumo esce sempre più copiosamente, prende alla gola, gli strumenti quasi non si vedono più. Decido allora di ammarare ritenendo di essere in presenza di un incendio, mi aspettavo infatti, da un momento all’altro, veder uscire le fiamme da dietro il pannello strumenti.

Una volta in acqua spegniamo i motori e abbandoniamo i posti di pilotaggio. Nel frattempo Catini si protrae verso il vano pedaliera e scarica l’estintore di bordo dietro il pannello strumenti. Apriamo la porta e la rampa posteriore, gonfiamo il battello di emergenza, i galleggianti di emergenza dell’elicottero, mettiamo in acqua l’ancora flottante, azioniamo le radio di emergenza dei nostri giubbetti salvagente. Fortunatamente il fumo comincia a scemare. Guardando dalla porta il lato destro della fusoliera vediamo fuoriuscire un po’ di fumo dal tubo di sfiato della batteria. Catini decide di andare a controllare il vano batteria, entra in acqua con il cacciavite tra i denti e si dirige verso il muso dell’elicottero, dove è posata la batteria. Era bollente e fumava da tutte le parti con fuoriuscita di acido. Era praticamente fuori uso. Non avevamo nessuna possibilità di rimettere in moto, tra l’altro la situazione era resa ancora più complicata da una pala del rotore principale che toccava l’acqua a causa della mancata fuoriuscita del drop stop. Acquisiamo così la consapevolezza della nostra condizione di naufraghi in balia delle onde, agganciati all’unica speranza che qualcuno potesse captare il nostro segnale di emergenza e far scattare i soccorsi. Comincia così la lunga attesa, il tempo non passa mai, il pensiero corre lontano e si immaginano tutte le possibili conclusioni della vicenda. Ogni tanto qualche spruzzo d’acqua entra nell’elicottero, ma defluisce facilmente dalla rampa aperta, si cerca di sdrammatizzare la situazione, qualche battuta, i due passeggeri che rimpiangono di non essere partiti prima per il week-end e di essersi imbarcati su quel volo sfigato, però il PELLICAN galleggia bene e anche se sballottato tiene bene il mare .

Finalmente, dopo circa un’ora e mezza, sentiamo in lontananza il rumore di un elicottero e subito dopo vediamo la sagoma inconfondibile di un HH3F. Ci avevano trovato, non eravamo più naufraghi, eravamo salvi e cominciamo così a pensare come portare a casa anche il buon PELLICAN. L’elicottero ammara nelle nostre vicinanze, scende in acqua l’aerosoccoritore Felago che ci raggiunge, così possiamo comunicare la natura della nostra emergenza ed, in pratica, l’esigenza di una nuova batteria. Invito i due passeggeri a raggiungere a nuoto l’altro elicottero e rientrare a Ciampino. Invito prontamente raccolto dai due che non vedevano l’ora di mostrare come sia possibile nuotare con scioltezza con tuta da volo indossata e giubbotto salvagente gonfiato. l’HH3F ridecolla alla volta di Ciampino e noi tre rimaniamo in attesa della batteria L’attesa dura più di un‘ora alleviata dalla presenza, dopo un po’, di un secondo HH3F che nel frattempo era decollato da Ciampino, anch’esso per portare assistenza. Finalmente di ritorno, il primo HH 3F riammara nelle nostre vicinanze, viene messo in acqua un battellino con dentro la batteria, e trascinato verso il muso del nostro elicottero. Tecnici ed aerosoccorritori riescono con grande difficoltà, a causa del mare mosso e della instabilità del battello, a cambiare la batteria. Salgono poi sopra la fusoliera e girano il rotore fino ad incontrare la pala senza il drop stop, la alzano con notevoli difficoltà ed inseriscono manualmente il drop stop. Tagliamo l’ancora flottante e la cima del battellone, pronti a rimettere in moto, assistiti sempre dall’HH3F poco distante.

Inserisco la batteria, tutto funziona regolarmente, metto in moto l’APU, e tutto va ok, accendo il motore N°1, poi il N°2. Lascio girare i motori su IDLE per un po’ di tempo, freno rotore sempre inserito. Ultimo controllo a strumenti e impianti, tutto regolare. Disinserisco il freno rotore e vado dentro deciso con le manette fino al 40% di torque, in modo da far acquistare il più velocemente possibile velocità e efficienza al rotore di coda e far ruotare l’elicottero il meno possibile. L’elicottero comincia a ruotare e quando prende un’onda di fianco si inclina paurosamente. Il rotore non ha ancora raggiunto la piena efficienza e le pale, curvate ancora verso il basso, sfiorano pericolosamente l’acqua. Finalmente il rotore di coda prende efficienza e riesco a controllare la direzione dell’elicottero con la pedaliera, poi, con le manette tutte dentro, decolliamo e rientriamo a casa senza ulteriori problemi.

Sul piazzale davanti al nostro hangar di Ciampino trovo ad accogliermi il comandante di Stormo il col. Zardo che si congratula e mi comunica di essermi aggiudicato il comando dell’82 centro s.a.r. di Trapani dove avrei potuto mettere a frutto tutte le mie capacità marinaresche, visto che lì il mare era sulla porta di casa.

Il controllo tecnico dell’elicottero rilevò l’otturazione della presa d’aria della batteria che ne aveva causato il surriscaldamento e la rottura del tubo proprio nel punto in cui passava dietro al pannello strumenti, con il conseguente versamento dei vapori e fumi in cabina. Se l’elicottero avesse avuto la spia dell’HOT BATTERY , come l’hanno ormai da anni, mi sarei subito reso conto della natura dell’avaria e gestito l’emergenza in modo diverso. La batteria sarebbe stata staccata prima, senza arrivare quasi al punto di fusione, e sicuramente non avrei fatto un ammaraggio forzato con tutti i rischi connessi a tale manovra . Non ricordo,purtroppo, il nome di tutte le persone che parteciparono al nostro salvataggio, voglio però, anche se sono passati quasi trent’anni, rinnovare a tutti la mia gratitudine e la mia stima.