COMUNICAZIONI T/B/T/
Mix 915: Ciampino buongiorno, la missione 915
TWR: Buongiorno missione 915. Avanti
Mix 915: La missione 915 un HH3F navigazione VFR destinazione Rimini come da piano di volo.
TWR: Rullate per pista 15 il QNH è 998
Mix 915: Copiato. La missione 915 rulla per punto attesa 15
Qualche anno fa pubblicammo la storia "Non mollare mai" che descrive le operazioni di ricerca e soccorso di un paio di naufraghi a largo di Ponza. Alcuni giorni orsono uno dei due, Sebastiano Rech Morassutti, ha inviato una lettera con la descrizione della fine della storia: quella del ritrovamento e recupero della zattera di salvataggio. Pubblichiamo nuovamente la storia ed, a seguire, la lettera
NON MOLLARE MAI
Sono d’allarme con Gian Mario Generosi. È ormai un’abitudine montare d’allarme con Gian Mario come Capo Equipaggio. Quando si crea un certo feeling fa piacere condividere le 24 ore di servizio con un amico. L’unico handicap è che mi tocca portare sempre al seguito una borsa d’allarme di dimensioni elefantiache, visto che Gian Mario la sua non la porta affatto. È comunque qualcosa che si può sopportare, pur di condividere le lunghe ore di servizio in piacevole compagnia.
É mattina presto, abbiamo trascorso una notte di servizio (si monta d’allarme alle 21.00) riposando tranquillamente.
Suona la sirena dell’allarme. Ci precipitiamo in Sala Operativa per le informazioni: “un velivolo civile, in navigazione nell’aerovia Ambra 14, ha percepito un segnale d’allarme sulla frequenza di emergenza VHF 121.5”.
Partiamo per una ricerca elettronica. La zona assegnata è naturalmente senza confini ben delimitati, vista che né il velivolo civile, né il Sottocentro di coordinamento e soccorso (RSC) di Ciampino hanno potuto individuare il punto di provenienza del segnale. Si sa solo che il segnale d’allarme c’è. Partiamo per un’area individuata a nord dell’isola di Ponza ed in corrispondenza con l’aerovia Ambra 14.
Si decolla da Ciampino per pista 15. Primo punto di riporto Santa Palomba, quindi dirigiamo su Tor San Lorenzo per iniziare la ricerca in mare. Giunti sulla costa attiviamo l’homing sulla frequenza d’emergenza. Il segnale non si percepisce, quindi ci addentriamo verso il largo, sempre in ascolto. L’equipaggio è in postazione per l’osservazione della zona di ricerca, ma non sappiamo nemmeno cosa stiamo cercando. Nessun velivolo manca all’appello e l’RSC non ha ricevuto nessun allerta per imbarcazioni in difficoltà. Nei pressi dell’Ambra 14 percepiamo il segnale. È debole, per cui l’ago dell’homing continua a girare e non riesce ad individuare una direzione di provenienza. Non sappiamo cosa fare. Proviamo ad impostare una piccola ricerca a rastrello, a cavallo dell’aerovia, ma non otteniamo alcun risultato. Il segnale compare e scompare senza fornire una benché minima indicazione.
Quasi tutte le ricerche in mare sono frustranti, perché quelle che si concludono con l’avvistamento dei naufraghi sono veramente rare, ma questa è ancora più frustrante delle altre perché non sappiamo nemmeno cosa stiamo cercando. A bordo, mentre cerchiamo di dare un senso alla nostra ricerca, cerchiamo una spiegazione: “la settimana scorsa sono partiti per una ricerca di un segnale d’allarme e poi s’è scoperto che uno aveva lasciato la radiolina d’emergenza accesa”, “no. Il segnale veniva da un’imbarcazione” “certo che farci girare a vuoto così non ha senso”. Fra una parola e l’altra, una virata e l’altra……uno sbadiglio e l’altro, facciamo le nostre belle quattro ore di ricerca. L’autonomia è prossima alla fine, del resto non abbiamo nemmeno imbarcato altro carburante visto che non era stata ipotizzata una zona certa di ricerca. “Rigiriamo la capa al ciuccio” e torniamo a Ciampino. Dopo l’atterraggio consueta relazione immediata all’RSC, cui farà seguito quella ufficiale più corposa, e si va a pranzo.
Terminato il pranzo cerchiamo una coppia avversaria per una partita a pinnacolo. Deve trascorrere ancora un bel po’ prima delle 21.00, quindi bisogna trovare un modo per ingannare il tempo. Gian Mario poi è un ottimo giocatore, è piacevole giocarci insieme. Riusciamo a trovare un’altra coppia: la noia del pomeriggio senza far niente è scongiurata. Una mano di pinnacolo ed una sigaretta, una sigaretta ed una mano di pinnacolo………tutta salute!!!
Squilla il telefono del bar: Equipaggio d’allarme del 15° è richiesto in sala operativa. Ci precipitiamo al Reparto per acquisire le informazioni. Sono le stesse del mattino!
Un altro velivolo civile in navigazione in Ambra 14 ha percepito il segnale d’allarme sulla 121.5. Si riparte, con l’unica differenza che stamane avevamo i sole ad Est, ora lo abbiamo ad Ovest. Riportiamo Santa Palomba, quindi Tor San Lorenzo e poi, mare, mare e ancora mare. Del resto noi del soccorso ci siamo abituati. Ognuno di noi ha sulle spalle ore ed ore trascorse perlustrando il tirreno, l’adriatico, lo jonio e c’è pure chi ha perlustrato l’Atlantico. A bordo non abbiamo molto da dirci e molto da fare. Guardiamo sconsolati l’ago dell’homing che gira ininterrottamente. Sembra prenderci in giro. Abbiamo il timore che ci aspettino altre quattro ore di ricerca senza sapere dove sbattere la testa. Non possiamo volare in cerchio, oppure andando a casaccio, ma è quello che l’homing ci dice di fare. Del resto anche questa seconda volta non ci è stata assegnata nessuna zona precisa di ricerca. Nonostante ciò ci imponiamo di effettuare un rastrello di ricerca, almeno seguiamo un criterio e non rischiamo di continuare a volare su zone già coperte.
Lentamente il sole si abbassa all’orizzonte, poi scompare. Abbiamo ancora 30’ di luce, poi dovremo interrompere per manifesta scarsa visibilità. Impostiamo il penultimo braccio verso il largo, faremo l’ultimo verso costa e quindi torneremo a casa. Quasi otto ore di volo senza concludere niente. Sono io ai comandi. Guardo fuori, sempre scrutando l’acqua, e mi accingo ad impostare la virata di 180° per invertire la rotta. Il suono del segnale d’emergenza è sempre in cuffia, ma ormai ci siamo abituati a sentirlo. Inclino il ciclico a sinistra, spingo la pedaliera e viro.
Sento una voce in cuffia, quella di Sestili, l’elettronico di bordo: “l’ago si è fermato”. Io e Gian Mario guardiamo prima l’ago dell’homing: è fermo e punta verso il largo; poi uno sguardo al radar, 20 miglia avanti c’è la traccia di una nave: ecco la responsabile!
Puntiamo verso la traccia radar, con l’ago dell’homing inchiodato in prua. Aumento la velocità a 120 kts, ormai si sta facendo buio. L’idea è quella di sorvolare la nave, avere conferma che il segnale viene da loro attraverso l’inversione dell’ago, e tornare a casa segnalando la provenienza del segnale. Gli occhi non guardano più il mare, ma scrutano l’orizzonte cercando l’imbarcazione segnalata dal radar. All’improvviso un razzo rosso esplode nel cielo alla mia destra e contemporaneamente l’ago dell’homing si apre nella stessa direzione. “È sotto di noi. – dice Gian Mario – Ce l’ho io1” e prende i comandi impostando una virata a destra in discesa. Adesso lo vedo anche io: è un battello di salvataggio di forma ottagonale, con tanto di tenda che lo copre. Rapidamente viene buttata a mare una fumata, per stabilire con precisione la direzione di provenienza del vento, e si imposta l’ammaraggio. Ci manteniamo ad una certa distanza dal battello per paura di ribaltarlo con la forza del vento del rotore. Gino Petrucci è già pronto e si fionda in acqua. Non ci vuole molto per portare i due malcapitati a bordo. Sono provati. Ormai è quasi buio. Tenendo sotto controllo il battello decolliamo e puntiamo decisamente verso casa. Quando arriviamo a Ciampino è buio pesto. I naufraghi hanno raccontato che durante la notte precedente qualcosa aveva colpito la loro barca a vela creando una falla che in poco tempo li aveva costretti a mettere in acqua il battello di salvataggio, dotato di una radio d’emergenza, ed abbandonare l’imbarcazione.
Giunti a Ciampino assistiamo ad un simpatico siparietto. I naufraghi hanno lasciato a bordo del battello tutti gli effetti personali, quindi sono sprovvisti di documenti. Avvisiamo il Maresciallo dei Carabinieri, anche perché il recupero è avvenuto fuori dalle acque territoriali. Quando il Maresciallo si presenta ci chiede: “dove li avete recuperati?” “circa una decina di miglia a nord di Ponza” “e allora perché li avete portati qui” “ Marescià, e dove li dovevamo portare?” “a Ponza. Anche li ci sono i Carabinieri”.
La giornata dei due naufraghi, iniziata decisamente male, si conclude con la massima assistenza da parte dell’Aeronautica Militare. Infatti dopo il recupero dal mare da parte di un HH3F i due possono usufruire di un immediato trasferimento a Milano, approfittando di un passaggio su un DC9 dei “cugini” del 31° Stormo già pianificato per un volo verso la capitale lombarda.
Da parte nostra la grande soddisfazione di aver portato a termine una missione di soccorso in mare e di non aver mollato mai, ma l’amara riflessione di non averci mai veramente creduto.
La stampa non mancò di segnalare l’evento. Qualche giorno dopo Sebastiano Morassutti2, uno dei naufraghi, inviò una lettera al Comandante di Stormo, sia per ringraziarlo, sia per proporgli, con nobile iniziativa, un’esercitazione tendente a sperimentare più radio di emergenza per individuare l’apparto con le migliori caratteristiche, da pubblicizzare poi sulla stampa specializzata, ma in questo dimenticando che noi non potevamo certo effettuare valutazioni di prodotti immessi nel pubblico commercio.
1 Espressione che indica chi ha assunto i comandi di volo del velivolo ad evitare che in due si vada in contrasto sui comandi stessi.
2 Sebastiano Rech Morassutti è membro fondatore della Trimarine Advanced Marine Project Ltd. ed è uno dei massimi specialisti nel coordinamento di barche da corsa.
Carissimi,
finalmente in questi giorni di vacanze natalizie sono riuscito a scovare su un vecchio quaderno di appunti le note che avevo scritto riguardo al ritrovamento della mia zattera di salvataggio e ho pensato che sia venuto il momento di completare il racconto così ben scritto sul sito "gentedelquindicesimo".
Dopo esserci salutati in quella sera del 5 Giugno 1982 nella vostra sala operativa nell'aeroporto di Ciampino ci siamo imbarcati su un DC9 del 31° Stormo ed abbiamo fatto un ottimo viaggio fino a Milano, dopo essere passati da Napoli a prendere la famiglia della bambina che attendeva un trapianto di organo e che doveva essere portata d'urgenza a Milano. Arrivati all'aeroporto di Linate abbiamo trovato una ambulanza per bambina e famiglia e una vettura dei Carabinieri che ci ha gentilmente portato a casa dei miei genitori.
Conoscendo le coordinate geografiche in cui si trovava la zattera ho chiamato Roma Radio fornendo loro la posizione e informandoli che le persone imbarcate erano state salvate; ricordo che questa notizia è stata inserita e trasmessa per 7-8 giorni tra gli Avvisi ai Naviganti.
Due, tre settimane dopo, una sera, squilla il telefono, rispondo e la persona che chiama si presenta dicendomi "buona sera, sono il Comandante della Capitaneria di Porto di Augusta e lei non ha idea di quanto io sia contento di sentire la sua voce".
Dopo averlo ringraziato della cortesia e avere scambiato qualche parola, il Comandante mi spiega i fatti.
La nave inglese "La Cumbre" (Nominativo Internazionale GVOE) mentre navigava verso Augusta aveva avvistato 4-5 giorni prima la nostra zattera; una volta recuperata hanno avvertito Roma Radio del ritrovamento, ma nessuno ha detto al Capitano Melvin Neil Baddeley che gli occupanti erano già stati salvati.
Arrivati ad Augusta il Capitano ha portato la zattera e tutto il suo contenuto in Capitaneria di Porto dove, con l'aiuto del Comandante e dei suoi uomini hanno trovato i nostri documenti, il diario di bordo e la mia agenda, che è stata utile per contattarmi.
Sono così andato ad Augusta nei primi giorni di Giugno e, grazie alla serietà, onestà e professionalità di tutta la gente di mare che, volente o nolente, si è trovata coinvolta in questa nostra avventura, ho avuto la possibilità di recuperare la zattera (che ho tutt'ora in ufficio e che qualche anno fa ho gonfiato manualmente per mostrarla ai miei figli) e tutto - ma proprio tutto - quanto era rimasto a bordo della zattera.
Il trasmettitore d’allarme sulla frequenza di emergenza VHF 121.5
Un paio di note conclusive che la dicono lunga sulle qualità delle persone.
Prima di telefonare direttamente a casa nostra il Comandante della Capitaneria di Porto di Augusta (convinto che gli occupanti della zattera fossero scomparsi in mare) ha telefonato ad alcuni nominativi che c'erano sulla mia agenda, perché voleva che fosse un conoscente a informare i familiari di quelle persone che lui riteneva scomparse; poi una delle persone chiamate gli disse che eravamo vivi e solo allora ha fatto la telefonata di cui ho scritto inizialmente.
Una volta consegnata la zattera e il suo contenuto alla Capitaneria di Porto di Augusta il Capitano e l'equipaggio della "La Cumbre" hanno chiesto che il compenso a cui avevano diritto per il ritrovamento in mare fosse devoluto al C.I.R.M. e io fui ben felice di mandare un vaglia postale al Centro Radio Medico.
Nei giorni scorsi sono andato a riguardami il sito "gentedelquindicesimo" e ho così scoperto che l'HH3F "è andato in pensione".
Devo ammettere che la cosa mi ha fatto un certo effetto e...se avesse una foto e se potesse mandarmela mi piacerebbe molto conservala tra i ricordi del passato.
Un ultimo pensiero e una gran quantità di complimenti vanno a tutti i piloti, tecnici e operatori che hanno partecipato al formidabile lavoro di salvataggio delle persone imbarcate sul traghetto andato a fuoco in Adriatico; dai filmati che ho avuto occasione di vedere e dalla situazione meteo che, ormai per abitudine, guardo quotidianamente, le condizioni erano davvero pessime.
Un caro saluto
Sebastiano Rech Morassutti
Fatto D’arme Di Fine Secolo
di Antonio Toscano
Tre aerei veloci e ben armati, contro il Mammajut, lento e scarso, nel bellissimo ed emozionante racconto del Gen. Genta.
“Quando nel cielo incontri la morte, girale intorno e falle la corte”…così cantavano gli aviatori del tempo.
É con quella filosofia nel cuore che quell’equipaggio affrontava la missione ed è con quella tradizione ben appresa, che gli aviatori del 15° hanno affrontato i pericoli che incontravano in cielo ed in terra.
Somalia 1993: missione di recupero di un gruppi di medici che la guerriglia aveva accerchiato nella cittadina di Marca, a sud di Mogadiscio.
Alle prime luci l’HH ai comandi del Ten.Col. Gianmario Generosi vola verso l’obiettivo, con la scorta in volo di un altro elicottero dell’EI e dentro la pancia una squadra della migliore élite disponibile: Col Moschin; otto ragazzi armati fino ai denti.
La missione prevedeva che l’HH si posasse su di una striscia di sabbia in riva al mare, mentre l’altro elicottero sorvolava, sia il punto di atterraggio, sia gli uomini che andavano a prelevare, i coraggiosi “medici senza frontiere”.
Il Comandante dà istruzioni all’equipaggio ripetendo quello che aveva già detto nel briefing. “una volta a terra, scende l’ARS e protegge la parte posteriore; scarichiamo gli uomini del Col Moschin dalla rampa posteriore ed aspettiamo con il rotore in moto. La missione è pericolosa perché sul posto ci sono molti guerriglieri, quindi occhi aperti e colpo in canna alle armi.
Poi si rivolge a me:
- “Totò, tu sai quello che devi fare, non si deve avvicinare nessuno”.
- OK Capo, mi tengo ad una certa distanza e quando finisce la mix, fatemi un cenno che io salgo sempre dalla rampa”.
La squadra del Col Moschin scese con una rapidità impressionante e con altrettanta velocità si diresse verso alcuni ruderi. Andai ad appostarmi dietro l’HH a circa trenta, quaranta metri; scelsi una duna di sabbia che mi consentiva una visione più generale e caricai l’SC-70 mettendo il selettore sulla raffica ed il colpo in canna anche alla Beretta col caricatore bifilare che portavo alla cintola.
Il mio fucile aveva anche un caricatore di riserva, che era legato al principale con del nastro isolante, secondo i dettami del due è meglio di uno.
In piedi scruto la zona assegnata. Nessuno in vista.
Il rumore del rotore era la mia stella polare ed i colleghi alle armi di bordo coprivano una vasta zona di campo; l’elicottero di scorta sorvolava con ampi giri: tutto tranquillo.
Ma ecco la sorpresa, dalle dune vicine alla mia facevano capolino, dapprima con timore, poi vennero avanti: una folla di donne e bambini, seguita da uomini armati.
Faci cenno di fermarsi, urlai più volte ALT e mi feci vedere con il fucile tra le braccia.
Niente, continuavano ad avanzare. Allora diedi un occhio all’HH e poi mi mostrai ancora più deciso…tracciai una linea in terra con lo scarpone e mi inginocchiai per prendere la mira…
S’era fermato il tempo, sentivo solo il rotore dell’HH e non osavo guardare indietro per paura di essere sorpreso.
La folla si fermò e capì che da li non si passava.
Attimi terribili, se avessero superato quella linea avrei aperto il fuoco, prima sopra le loro teste e poi…non ci voglio pensare, ma avrei fatto quello che dovevo fare.
Sparare ad un essere umano è qualcosa che mi ha sempre ripugnato, ma il senso del dovere, quello che mi hanno insegnato, quello che ho sentito sempre come parte di me stesso, avrebbe avuto il sopravvento: avrei aperto il fuoco contro di loro, cercando di non colpire le donne ed i bambini, ma quelli con i fucili.
Anche il leggero venticello che spirava dal mare s’era fermato.
Poi vidi il gesto di rientrare e, sempre tenendo d’occhio la folla che era ferma davanti alla duna, vidi con mio grande sollievo che anche l’altro elicottero era atterrato ed aveva imbarcato quattro o cinque persone con alcune valigie.
Gli uomini del Col Moschin presero a salire dalla rampa posteriore e per ultimo, scaricate le mie armi e messa la sicura, ripresi il mio posto a bordo.
L’HH chiuse la rampa e decollò in pochi secondi e dall’interfono sentii la voce del Capo Equipaggio che mi diceva di andare a sedermi sullo strapuntino che si trova tra i due piloti.
- Totò come va? – chiese il Capo Equipaggio guardandomi negli occhi.
-Tutto bene, c’è stato un piccolo problemino ma, grazie a Dio, è andato tutto bene. Adesso andiamo a casa che ho fame, non ho fatto neanche colazione.
- Vuoi un sigarillo? – offrendomi uno dei suoi che teneva sempre a portata di mano.
- No grazie, il fumo mi fa male…
Quello sguardo, quel suo guardarmi così interessato a me, era intriso d’affetto e non mi sbagliavo. Conoscevo quella persona da più di trenta anni ed è sempre stata una persona amica, sincera e leale. Pilota nato e cresciuto sugli elicotteri; un vero manico di cui mi sono sempre onorato di essergli amico.
Mario Russo coniò anche per lui il soprannome: “Marchigiano dal multiforme ingegno” parafrasando il Sommo Poeta.
Santa Marinella, aprile ’12
Mentre sono collegato al nostro sito, insieme ai miei nipoti leggiamo le gesta di quegli aviatori poi decorati; li ho accanto a me, due gemelli biondi e con gli occhi azzurri, che chiedono sempre spiegazioni.
- Nonno ma tu ti sei mai trovato in quella situazione?
-Non precisamente, ma ho vissuto qualche episodio simile.
-Ce lo racconti?
E così ripeto loro quello che ho sopra scritto.
- E tu avresti sparato contro quella gente? – mi chiede Luca.
- Nonno li avresti uccisi? – incalza Simone
Credo proprio di si, rispondo loro, avrei sparato per difendere il mio elicottero, era quello il mio compito e da me dipendeva la vita dei miei compagni.
Mi guardano tutti e due fissandomi da capo a piedi.
-Ragazzi è difficile spiegarvi cosa significava per me il mio compito, è una cosa che fa parte del dovere, di una regola a cui i soldati vengono sempre chiamati.
-Nonno, ma c’erano anche donne e bambini… - dice ancora Simone.
- Si è vero, ma quella guerriglia usava spesso farsi scudo di gente indifesa; era già capitato che avevano attaccato un nostro blindato ed avevano ucciso un ragazzo di 21 anni, si chiamava Millevoi Andrea, un giovane che faceva il proprio dovere e che forse non sparò sulla folla proprio perché pensava che dietro alle donne ed ai bambini non ci fosse il pericolo. Invece fu ucciso.
-Allora sei stato bravo?
-Non credo si tratti di bravura, credo sia stata la volontà di Dio di non farmi prendere una decisione terribile.
I due sono smarrititi e restano in silenzio, ma ci tengo poi a precisare loro.
- “Sparare contro un aereo che ti attacca credo sia altrettanto complicato, ma vedere le facce degli esseri umani da così vicino è una situazione tragica e sempre ringrazio il Signore di avermi evitato quell’esperienza”.
Poi i nipoti mi chiedono di fare una ricerca per la scuola, fanno la seconda media.
Alla fine i due mi lasciano da solo ma prima di andare via, quasi all’unisono mi dicono: “Nonno sei una roccia”.
Equivale ad una decorazione sul campo, la più alta che si possa immaginare ed è di color azzurro, preziosa come i loro occhi e come l’affetto che mi lega a Gianmario Generosi, che ha poi riportato l’episodio sul “Nec in somno quies” vol. II.
Mammajut
Il ritorno de: “La storia del 15°”
Non sembrava vero, dopo decenni in cui lo Stormo era stato “ospite” di altri Reparti, che finalmente il 15° avesse una propria sede esclusiva ed operativa presso l’Aeroporto di Pisignano di Cervia. Quel 5 ottobre del 2010 avevamo finalmente ottenuto la dignità che ci spettava e che ci eravamo guadagnati in decenni di gloriosa attività, sia in Patria, sia all’estero.
Ma evidentemente per noi del 15° i bei sogni devono durare poco e svaniscono in fretta. Dopo aver riconfigurato tutto il sedime aeroportuale alla figura dello Stormo è giunta, come un fulmine a ciel sereno, la notizia che avremmo nuovamente avuto un altro “proprietario” e saremmo nuovamente diventati “inquilini”. Così, con l’arrivo della 1ª Aerobrigata ci siamo dovuti nuovamente “stringere” per lasciar posto ai nuovi Uffici. Ed anche i nostri quadri e poster, quelli che rappresentano la storia dello Stormo e che erano posizionati nel corridoio di accesso all’Ufficio del Comandante, sono stati rimossi, perdendo la collocazione che a loro spettava.
Parlandone con il Luogotenente Domenico Guerra appresi che erano stati spostati nei corridoi del Gruppo Efficienza Aeromobili. Non ci sembrava che quella fosse la posizione adeguata. Senza nulla togliere al GEA bisognava spostarli in un’area più operativa, in un’area dove potessero anche riunirsi a chi quella storia l’aveva scritta volandola. Con molta diplomazia riuscimmo a riportare le immagini nell’Hangar dell’83° Gruppo CSAR.
Rimboccate le maniche ci mettemmo a lavorare per effettuare un’operazione di ripulitura e verniciatura di tutto il corridoio con i colori simbolo dello Stormo e del Soccorso Aereo, ossia con bande orizzontali gialle e blu e quindi procedendo con il posizionamento dei vecchi e dei nuovi quadri, con l’aggiunta di alcuni disegni di elicotteri in lavorazione.
Sono stati due mesi di intenso lavoro ed intensa collaborazione e senza l'indispensabile apporto di tutti noi: "gente del 15° Stormo, gente dell'83° Gr. CSAR e quindi Gentedelquindicesimo” non avremmo ottenuto questo risultato che consideriamo meraviglioso e che potrà essere ammirato da chiunque voglia farci visita.
Coloro che a vario titolo hanno contribuito alla realizzazione del mio progetto, ritagliando dal loro tempo un prezioso contributo, sono: il Lgt OB Giuseppe PARROTTA, il Lgt OB Marco BOMBARDA, il PM OB Luca PAPARELLA, il PM OB Ciro SORRENTINO, il PM Roberto CARPENTIERI, il PM ARS Paolo TETA con il figlio Nicolò (per i disegni degli elicotteri).
Un sincero ringraziamento al Capo hangar dell'83° gruppo, Lgt OB Domenico GUERRA, per aver condiviso l'idea autorizzando i "suoi" uomini a lavorare al mio fianco ed al PM Antonio Tondi, del Gruppo impianti, per la cortese e sollecita disponibilità.
A me l’onere e l’onore di aver fatto il “maestro d’orchestra” di questo splendido manipolo di uomini.
Mammajut
PM ARS Francesco SANTAMARIA.
Il fiammifero
di Antonello Albanese
Siamo talmente abituati alle comodità offerte dalla civiltà (se così si può chiamare) dei consumi che le poche volte che “salta” la corrente ed il buio ci avvolge, restiamo colti di sorpresa come un gatto affamato che, intento ad assaporare i suoi croccantini nella sua scodella, ha uno scatto di reazione se ci avviciniamo di soppiatto alle sue spalle e lo accarezziamo sulla schiena. Le nostre certezze crollano, come il senso di sicurezza che ci offre la nostra casa: siamo costretti a muoverci a tentoni e non ricordiamo più dove abbiamo riposto la torcia che, immancabilmente, ritroviamo poi a tentoni dentro ad un cassetto, ma con la batteria scarica.
Per fortuna in un altro cassetto della cucina “tastiamo” il “mozzico” di ciò che è rimasto di una candelina utilizzata sulla torta di compleanno di nostro figlio di 5 anni fa e che abbiamo conservato per la logica del “non si mai, può sempre servire”. Peccato che poi ci accorgiamo che non abbiamo i fiammiferi e neanche un accendino, perché “a casa non si fuma” e la macchina del gas ha l’accensione elettronica. Dopo 20 minuti di ricerche, ci ricordiamo che nel “kit di sopravvivenza” del pilota militare c’erano anche i fiammiferi antivento e che forse, nella vecchia borsa da volo riposta in un armadio, ne è rimasta una scatoletta. La vecchia borsa da volo di cuoio marrone, riposta ormai da anni dentro al più dimenticato armadio di casa, in quel momento si “umanizza”: le due serrature dorate sembrano due occhi con lo sguardo malinconico che ti guardano con l’aria di rimprovero chiedendoti “ Da quanto tempo ti sei dimenticato di me?” e, mentre la apri, sembra che sbadigli con la “fiatella” di chi è andato a dormire la sera dopo aver cenato a base di insalata di cipolla. Ed ecco che dalla borsa da volo escono piccoli oggetti che anni prima erano stati di uso quotidiano: un compasso con la custodia di plastica crepata, un righello con goniometro, quel che rimane di una gomma da cancellare, una matita grassa bicolore (rosso-blu), una confezione di pennarelli vetrografici ormai secchi, una lente d’ingrandimento, due vecchi PIV (quello blu e quello rosso), un cosciale di plastica con l’elastico sbriciolato dal tempo e la carta geografica plastificata sulla quale sono ancora visibili i fix, le rotte, gli appunti “presi al volo” tanti, ma tanti anni prima.
Li guardi con un sorriso e, in un attimo, ritorni con il pensiero a quei tempi che senti ancora così vivi dentro di te. Ti ritornano in mente i visi e le espressioni di amici e colleghi con i quali hai condiviso esperienze incredibili ed inenarrabili e che dai quali, per le vicende della vita, ti sei allontanato. Ma in quel momento realizzi che quelle persone fanno parte del tuo essere, che hanno contribuito ad essere quello che oggi sei, a costruire il tuo presente, forse ancor più dei parenti consanguinei. Con loro, hai condiviso la parte più bella ed affascinante della tua vita non solo professionale, anche quella legata al volo e, con essa, i rischi, le soddisfazioni, i timori, le incertezze, le gioie, i piaceri, il sudore, la stanchezza, le felicità, i dolori, le paure, le amarezze, i sorrisi, le risate e le lacrime.
Un concentrato di sensazioni che nessun altro mestiere al mondo è capace di regalare se non ai fortunati che riescono e sono riusciti ad esercitarlo al 15 Stormo. Peccato che, ahimè, realizzi e riassapori tutto ciò solo quando, come la luce, se ne vanno via.
Fra gli oggetti ritrovi anche la scatoletta dei fiammiferi antivento, all’interno della quale ne è rimasto solo uno, ma…… proprio in quel momento torna la luce accompagnata dal rumore dei tuoi insostituibili gadget elettronici che riprendono vita con un “bip”. Anche la televisione si riaccende da sola appena in tempo per farti vedere il servizio sportivo del TG1 con i goal della domenica.
E con il ritorno della luce, ritorni anche alla realtà, pensando che talvolta vivere al buio fa proprio bene.