Accordi & Disaccordi; Alias: Tributi & Contributi

(ovvero, l’importanza di chiamarsi ARS)

di Antonio Toscano

Tale Cicchella, ARS Trapanese, fu comandato al mio posto per ordine del Comandante di Gruppo Gigino Ancora che mi disse: “devi assolutamente trovare un albergo dignitoso” visto che alcuni di noi erano stati dirottati in una catapecchia.

Così disertai quella disavventura di Berardo-Trinca nelle vigne di Villamassargia.

L’equipaggio, se non ricordo male, era composto da due ARS Cicchella e Felaco e due specialisti Zona e Bonaccorsi, giovani ma esperti e scrupolosi EFV, con a bordo anche il Comandante di Stormo, Col. Pastorino.

Alla missione Mare Aperto partecipavano un equipaggio di Trapani ed uno di Brindisi, oltre a 4 HH dell’85° di Ciampino.

Il Quindicesimo era finalmente chiamato come Reparto di cui si riconosceva la professionalità aeronautica e non più al margine come Reparto cosiddetto di supporto, ma come Reparto attivamente partecipativo all’addestramento della difesa del sacro suolo.

La missione era partita da circa 15 minuti ed eravamo ancora tutti sulla pista di Cagliari a decidere il da farsi e come orientarsi, quando giunsero di corsa Roda e Clemente urlando come forsennati: “sono precipitati in mare…hanno dato il May Day”.

jollyL’equipaggio si compose in un attimo, oltre ai due piloti saltarono a bordo gli specialisti e gli ARS (Toscano-Pessolano): APU, Motori e decollo in un attimo.

Diretti come fusi, veloci “a tutta canna” a 200 ft. cercando subito un segnale che potesse provenire dalla radio d’emergenza.

“Eccoli” disse Clemente “il segnale viene dal mare, sono caduti in mare”.

La voce mi risuonò come una condanna e l’emozione vinse il mio autocontrollo mentre indossavo la muta subacquea e lacrime anonime invadevano il mio viso.

“Stai calmo” disse Mimì Pessolano “li prendiamo anche se ci fosse il maremoto”.

Le parole del mio socio di tanti anni mi rincuorarono, mentre l’elicottero faceva una rapida virata a destra. “Non sono in mare, sono a terra; il segnale viene da terra”.

Intanto io pensavo al ragazzo trapanese che si era offerto al mio posto e all’amico Giovanni Felaco, ponendomi gli interrogativi più crudeli anche se l’ottimismo di cui sono sempre stato dotato mi suggeriva che tutti erano salvi ed incolumi. Speravo, non me la sarei perdonata!

Avevo molta fiducia nell’esperienza aviatoria di Votantonio Berardo, avevo molta stima del Capitano Trinca, avevo un tuffo al cuore per il giovane Affetto Zona, ragazzi che rappresentavano per me il filo diretto con la mia vita di aviatore del Quindicesimo che s’apprestava a diventare qualcosa di molto significativo, la colonna sonora di un’esperienza unica.

“Eccoli, li ho trovati, sono verso l’entroterra…guardate fuori, devono essere alla nostra destra…no, non a destra ma a sinistra…il segnale si sposta di continuo. Ma che succede?” urlava ancora Clemente.

A terra, il nostro Comandante di Stormo era partito alla ricerca di un telefono e, preso contatto con i locali CC, s’aggirava a bordo di una macchina della Benemerita con l’antenna della radio che fuoriusciva dal giubbetto d’emergenza, distogliendo la nostra ricerca del segnale.

Ma dall’alto apparve la sagoma dell’elicottero che sembrava una frittella mezza bruciacchiata, in una pozza d’olio.

Atterrammo nelle immediate vicinanze e con una corsa che sapeva di meraviglia, di felicità e d’incoscienza, mi tuffai nelle braccia di Felaco dal quale seppi che tutto l’equipaggio era incolume.

Sudato e con la muta addosso abbracciai tutti per lo scampato pericolo. Come diceva il maestro di Votantonio “lo scheletro era intatto” ed io ripresi il mio colore normale.

Subito fu organizzata la sorveglianza e la riparazione partì immediata. Da Cagliari arrivarono i tecnici. Preso con noi a bordo l’equipaggio ancora scosso tornammo in Base. Votantonio era scuro in volto e con il libretto del velivolo in mano, discuteva con Trinca battendo una mano sopra al libretto; sguardi smarriti, volti tesi, occhi che volevano essere da tutt’altra parte, adrenalina che rifluiva e scheletro a riposo.

La sera mi venne la febbre e l’indomani disertai ancora i voli. Il pomeriggio ebbi la gradita sorpresa di avere la visita del Capitano Trinca che sembrava avesse superato la brutta esperienza. Sempre gentile, sempre accorto a far sentire la propria presenza.

I voli continuarono e per circa dieci giorni partecipammo a tutte le esercitazioni garantendo, con la nostra sorveglianza, il livello di sicurezza generale.

La sera, quando non eravamo in volo, facevamo una passeggiata fino al porto per sgranchire le gambe ed accertarsi di essere ancora tra le traversie della gente.

Il gruppo dei passeggiatori era solito comporsi in Campi, Roda, Toscano, Pessolano, Felaco, Menna, Zona più alcuni specialisti di Trapani e di Brindisi: una banda.

Quello che era accaduto aveva scosso un poco lo spirito goliardico, sicché ci limitavamo a quell’ora d’aria per poi rientrare il albergo e ritrovare tutti; una specie di rito che nel linguaggio non parlato potremmo definire “fare sempre e comunque gruppo”, anche se lo “spiritello porcello” di Roda tentava qualche sortita.

A tavola la sera Biagini, Capo Equpaggio dell’HH di Brindisi, ci meravigliava sempre con le sue richiesta di carni flambé e la sua cultura in fatto di superalcolici americani.

Dopo cena a nanna molto presto, perché spesso si partiva alla prime luci. Il che voleva dire sveglia alle cinque e partenza alle sei.

Giorno e notte si volava con il solo ausilio del radar, quasi sempre in mezzo a lampi e tuoni e non mancava mai qualche piccola inefficienza strumentale o idraulica, come il Bar-Alt che si sganciava o l’AFCS che faceva capricci. Una notte, al rientro da una missione tra fulmini e saette, ci ritrovammo quasi all’isola di San Pietro e Campi-Spina – due che se ne intendevano – riportarono la missione a terra e lo scheletro fu ricacciato indietro ancor una volta.

Si volava fino a poche miglia dalle Isole Baleari e tornavamo indietro a missione conclusa, fidando che lo “scheletro” rimanesse per intero ed il lancio in mare del “crisantemo di plastica” venisse rimandato sine die.

La voce dello specialista era rassicurante: “giro di controllo OK, a voi bussola e carburante”, una voce che scandiva ogni 30 minuti di volo.

Le macchine, per quanto a volte imperfette, erano domate da equipaggi di valore professionale assoluto. L’esperienza ci ha portato molte volte lontano, ma non abbiamo mai avuto dubbi sulle nostre capacità; siamo arrivati dovunque e comunque, superando monti, valli, neve, grandine e qualche sparo contro di noi, con relativo buco nella fusoliera (da un carcere di massima sicurezza!!!).

Al rientro a Ciampino, l’Onda O4 era perfettamente efficiente e portò a casa gli scheletri dell’equipaggio. Navigammo da Cagliari in formazione di 4 HH e sull’aeroporto facemmo un doppio passaggio, come vuole la tradizione dopo una nuova affermazione di professionalità aeronautica, guidati dal capo formazione Votantonio Berardo, ancora su ONDA 4, che ne frattempo aveva smarcato molte missioni.

Lo scheletro è ancora intatto ed i crisantemi di plastica li abbiamo devoluti in beneficenza. Si fa così, no? Tutti a casa!!!

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P.S. – A proposito…come disse Piscitiello Scrimo – giacché mi trovo…

Il luogo dove era atterrato incolume l’Onda 04 era una piccola vigna con nelle vicinanze un casolare. Quando atterrò il secondo elicottero un contadino a bordo di un trattore si avvicino quasi timoroso e chiese educatamente cosa fosse successo.

Si fece riconoscere da Roda come il proprietario di quell’appezzamento di terreno che lo indirizzò verso di me.

- Lei è un Aerosoccorritore? – chiese con il cappello in mano il gentiluomo di vecchio stampo.

Gli andai incontro ancora con la muta addosso.

- Si, dica pure.

- Anche mio nipote è un Aerosoccorritore.

- Ma davvero e chi è?

- Si chiama Dante Dessì e fa servizio a Furbara.

Strette di mano e sorrisi all’unisono, …il mio amico Dante che era proprio originario di Villamassargia. Si direbbe che l’antidoto contro lo scheletro sia un “Jolly”…può essere?

Questa singolare stirpe la trovi nei posti più impensati ed in virtù di uno strano decalogo, offrono vino, salciccia, pane e sono attenti, educati e soprattutto orgogliosi di appartenere a quella razza…che strana gente.

Ho deciso che ogni volta che si parlerà di ARS del Quindicesimo, io terminerò con una citazione che simboleggia la propriocezione di questa specialità:

“PER UNDAS AD SIDERA”

Mammajiut