Gente del Quindicesimo

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Stromboli 2002
(Tomaso Invrea)

Dal sito della Protezione civile: “Stromboli - Eruzione 2002-2003
1Fase effusiva dell'eruzione - Il 28 dicembre 2002 inizia una fase effusiva del vulcano Stromboli, lungo la Sciara del Fuoco. Si apre una bocca vulcanica a quota 500m sul livello mare, dalla quale fuoriesce una colata lavica. L'apertura di una bocca effusiva a quota relativamente bassa produce un abbassamento della lava nei condotti con conseguente sprofondamento dei crateri e immediata cessazione dell'attività stromboliana.Conseguenze - frana e maremoto.Due giorni dopo, il 30 dicembre 2002, una frana di circa 16 milioni di metri cubi di materiale genera un maremoto che colpisce le coste dell'isola e raggiunge anche le altre isole Eolie e le coste della Calabria e della Sicilia. Istituzione del COA a Lipari. Il Dipartimento predispone l’invio di esperti e tecnici sull’isola e istituisce sull’isola il Centro Operativo Avanzato (COA) , organizzato e attrezzato per dare supporto alle funzioni scientifiche e operative, e capace di essere il nucleo delle attività di monitoraggio e di valutazione legate all’emergenza.
“31 dicembre 2002, otto di sera: partiamo da Pratica di Mare alla volta della Sicilia, immersi in una teoria di temporali che si susseguono, ci precedono e ci inseguono; breve sosta a Grazzanise per problemi alla piattaforma e ripartiamo, piove così forte che i tergicristalli riescono a farci intravedere a malapena le luci di Sorrento. Sappiamo che già da ieri gli HH3F del 15° hanno cominciato ad operare: arriviamo a Reggio Calabria sfiorando i monti della costa nel cuore della notte, tutto perché lo Stromboli, dopo aver toccato Ginostra, intende spazzare via l'abitato di San Vincenzo e produrre un altro tsunami come quello della settimana scorsa...”
2Così potrebbe cominciare l'ennesimo, memorabile racconto delle imprese condotte dal 15esimo, questa volta nelle isole Eolie flagellate dalle onde anomale create dall'eruzione dello Stromboli. E proseguire con i trasporti di viveri alle comunità isolate, i decolli al limite del fortunoso dalle piazzole di Vulcano, di San Vincenzo, e ricordare i ciuchi testardamente fermi in mezzo al luogo di atterraggio di Ginostra e le sfide continue al vento, ai nubifragi, alla turbolenza; oppure concentrare il racconto verso la splendida collaborazione creata e coltivata con i ragazzi della Protezione Civile o ancora ricordare i piccoli episodi di solidarietà con gli abitanti di Lipari...
Dal 30 dicembre al 18 febbraio furono impiegati 10 elicotteri, volate 257 sortite per 293 ore di volo, trasportate 1117 persone, comprese le 8 evacuate dal paese di Ginostra. Un pieno e costante supporto alla popolazione civile, un contributo fattivo alla messa in opera del sistema di allarme tsunami, l'unico modo per i vulcanologi di monitorare la sciara del fuoco e l'evoluzione delle attività eruttive.
Guardando gli HH3F nel campo sportivo del comune di Lipari non smisi mai di stupirmi delle straordinarie capacità del nostro elicottero. E di questo ora voglio parlare, tralasciando per un momento le storie umane - ma in fondo non é umanissima e intensa l'anima meccanica DELL'HH?
Atterrare in un campo di calcio circondato da caseggiati alti, con un lato a picco sul mare e un costante vento di caduta
Affrontare la turbolenza di Panarea e di Basiluzzo, fino a sentire lo stridore dell'albero ad alta velocità sul carter del troncone di coda
Sorvolare la sciara del fuoco per individuare i luoghi migliori ove posizionare i sensori che avvertono dell'imminente eruzione e del successivo tsunami, sapendo che i motori ancora per una volta possono ingestire le ceneri vulcaniche senza danni, ancora una volta dai
Notte giorno alba tramonto pioggia e libeccio tagliente, il vulcano che sembra disegnato da un bambino compare e scompare tra le nuvole basse e con gli NVG lo puoi vedere sin da Milazzo e anche da Lamezia
3Caricare scaricare caricare scaricare, apri e chiudi la rampa, metti e togli la scaletta e via, un altro volo e altre persone che beneficiano dell' HH3F, macchina di prodigiosa versatilità malgrado una apparente corpulenza.
Volare con L'HH3F significa, significava portare in giro per il mondo un concentrato di storie meccaniche ed avioniche impastate di ruvida intelligenza umana; vuol dire, voleva dire sentirsi parte di un potente sistema portatore di salvezza, di sollievo, di sicurezza. E dopo lunghi anni di convivenza, ancora e di nuovo non finisco di provare stupore al grado di comprensione e di affidamento che l'equipaggio nella sua interezza e l'elicottero nella sua complessità sono, furono in grado di creare, direi di concedersi a vicenda come un grande regalo meritato.

La parola al Pellicano
(F. Russo)

1Di fronte alla sua grande opera, nel domandare “Perché non parli?”, per sfogare la sua frustrazione il sommo Michelangelo sferzò un rabbioso colpo di martello sul ginocchio del povero Mosè. Ora, alfine di prevenire eventuali gesti inconsulti che rischierebbero di danneggiare ciò che nessuno più si limita a considerare un mero “pezzo di ferro”, diamo voce al protagonista, parla, finalmente, l’HH-3F…
“Ecco qui, finalmente mi è stata donata la parola. Per tanto tempo sono state le gesta mie e dei miei compagni d’avventura a raccontarmi, ma ora che più non girano le pale e cessato è il rombo dei motori, ho la facoltà di presentarmi: sono io, il Pellicano!
…Come “Chi?”!!! Avete presente quell’elicottero grande…no, no, non quello con due rotori…orbene, sì, anch’io ne ho due, ma quello a cui vi riferite li ha entrambi sul piano orizzontale, grandi e controrotanti. Io sono vecchia maniera, con un rotore principale pentapala completamente articolato (che ruota nel verso giusto, mica come quegli snob dei francesi o dei russi che girano al contrario) e un rotorino anticoppia spingente…
Quello del Papa dite?? No, no, cioè… sì sì, tante volte ho avuto il piacere e l’onore di trasportare il Santo Padre, ma quello è il mestiere favorito di un mio parente stretto, la “balena bianca”… Anche lui, dopo una lunga e prestigiosa carriera, è andato a riposare, ma quella è un’altra storia, che certo non è avvincente quanto la mia…!!
Sì, finalmente ci siete: l’elicottero col nasone!
Già, Nasone potrebbe essere il mio secondo nome, per quante volte sono stato così appellato e per le innumerevoli spiegazioni richieste sulla ragione di questa strana protuberanza nera sul muso. In effetti, nelle fiere e mostre dove ogni tanto mi pavoneggiavo (anzi, pellicaneggiavo: anche noi siamo volatili a nostro modo vanitosi, non tanto fieri della nostra bellezza quanto del nostro lavoro), all’immancabile domanda: “Ma a che serve quel nasone?”, spesso i miei fidi “accompagnatori”, sfiniti dal ripetere spiegazioni tecniche sul mio bravo radar meteo e di ricerca, rispondevano: “Proprio a ciò che serve un naso: a fiutare, come un cane da caccia (se ci pensate ho fatto anche quello di ruolo, la caccia: come altro definireste voi l’attività SMI ?), per trovare le persone che hanno bisogno di aiuto”.
E sì, questo è sempre stato il mio compito primario, la mia vocazione, la mia missione: cercare e salvare vite umane. In un acronimo: il SAR!
A questo punto potete rendervi conto di come il nome “Pelican” mi calza a pennello.
Come l’omonimo pennuto, sono un forte volatore. Pensate: i miei due turbomotori da 1.500 SHP ognuno mi consentono una velocità massima di 142 nodi e un’autonomia di oltre 700 miglia nautiche, o di 8 ore; posso imbarcare, oltre l’equipaggio, 15 barellati oppure 26 passeggeri seduti; in operazioni di recupero posso trarre in salvo 6 persone restando in hovering 20 minuti entro un raggio di 200 miglia nautiche dalla base.
Certo, anch’io non mi trovo perfettamente a mio agio in montagna. Se a pieno carico, posso arrivare a una quota massima di poco superiore i 10.000 piedi.
Dopotutto, è evidente che sono ottimizzato per il mare. Come sapete, noi Pellicani siamo anfibi. Possiamo ammarare, flottare e montare una piattaforma laterale mobile, se questo è utile a salvare qualcuno (fino a mare forza 4, altrimenti uso il mio capace e sicuro verricello). Questa è una caratteristica unica e suggestiva che, come alcune altre (ad esempio la possibilità di avviarmi per mezzo della sola batteria di bordo in caso di APU inoperativa; la funzione di kneel , utile ad ampliare la luce di carico della mia rampa posteriore; ecc.) ho portato via con me, senza essere ripresa dai miei sostituti...
2Ma, si sa, le esigenze cambiano, e per soddisfarle devono al contempo mutare i mezzi in un continuo divenire. Io non ho fatto eccezione.
Non parliamo del mio aspetto esteriore, che merita di essere trattato a parte (certo è che, quando migrai nel Bel Paese, coi pellicani pennuti condividevo anche i colori!), ma di tutti quelle modifiche e aggiunte di ammennicoli vari che, di volta in volta, ho saputo ricevere per conformarmi a fare ciò a cui in quel periodo ero destinato.
E così, partendo da una già ricca dotazione iniziale di equipaggiamenti che mi vedeva fornito di zattere, barelle e ceste verricellabili, ganci baricentrici con reti trasporto carichi e benne antincendio, ho nel tempo adottato una miriade di equipaggiamenti ed apparati vari, quali ad esempio: attacchi e funi per la discesa rapida, lanciatori C&F con sistemi di rilevamento automatico delle minacce, dispositivi per la visione notturna, mitragliatrici, ecc. ecc. ecc. Persino collari di galleggiamento aggiuntivi e pattini da neve!
Senza timore di essere smentito, posso dire che da quel lontano 1977 ne ho fatta di strada. Le mie capacità si sono ampliate ed evolute per fornire un servizio sempre più efficace.
Sono soddisfatto di ciò che ho compiuto, ma ora che non volo più mi rendo conto di quanto mi manca l’operare, il librarmi nell’aria per andare a portare aiuto al prossimo.
Ho visto cose…bah, panta rei. E’ tempo di scivolare d’ala e cedere il passo al nuovo che avanza, a cui auguro le migliori fortune. Però, con un pizzico di narcisismo, mi farà piacere sapere che, in fondo in fondo, anch’io un pochino mancherò a voi tutti.

Amichevolmente vostro, il “Pellicano”.

Noi del Soccorso al tempo dei “Pellicani”
(tratto dal racconto “Lo Stormo del sacrificio” di Antonio “Totonno” Toscano)

“Vai alla linea elicotteri”
“Elicotteri? Ma che c’abbiamo anche gli elicotteri?”
1E sì che li avevamo, erano belli, potenti, capaci di un impiego inaspettato, flottavano nell’acqua come giganteschi pellicani, si alzavano in volo ed atterravano in punti incredibili, andavano di notte in mezzo al mare senza riferimenti, cercavano, trovavano e recuperavano. Andavano sui monti con la forza residua che consentiva loro la potenza dei motori, atterravano in lande scoscese, recuperavano gente da dirupi spaventosi, portavano a termine missioni “borderline”.
Il personale s’innamorava di questo lavoro, diventata un ossessionato protagonista, un perfezionista che ammara di notte in mezzo al mare. Neanche la più fervida delle immaginazioni riusciva a tradurre le cose che si potevano fare.
Forse c’era gente nata per questo lavoro e chi non si sentiva portato, veniva addestrato talmente tanto, da riuscire. Si recuperava uno spauracchio con una muta subacquea rossa dalla tolda di una nave in movimento in mezzo al mare……e di notte!!!
Si riusciva ad atterrare, sempre di notte, su di un’isola dove s’era trovato ed eletto ad elisuperficie, una spianata su un precipizio marino: sembrava da incubo, ma si faceva e riusciva sempre con una semplicità da disarmare il più quotato osservatore.
Nelle esercitazioni interalleate erano considerati come qualcosa che nessuno era riuscito a raggiungere e realizzare; una specie di divinità pagana capace di esaltare le potenzialità del mezzo, capace di tradurre in semplice qualcosa considerata pericolosa.
L’HH.3F era il mezzo di livello, bisognava farlo volare conoscendo potenzialità e limitazioni, spingendolo fino all’asfissia per conoscerne resistenze e residui vitali. La macchina c’era, intorno bisognava costruire un organismo vitale che sapesse valorizzarlo per assolvere un compito considerato di grande ritorno sociale.
I piloti non assunsero, come si dovrebbe, la parte preponderante dell’onere, anzi al contrario, seppero distribuire compiti e responsabilità, con una riguardosità che ancora oggi fa venire i brividi.
I Comandanti erano chiamati a saper coinvolgere, a saper appassionare, a saper “avvincere e convincere” come ebbe a dire un celebre Capo di SMA; lo fecero e lo seppero fare non c’è dubbio!
Le loro qualità di uomini con le stellette vennero fuori al di sopra di ogni ragionevole ipotesi, ognuno mise in campo quello che di meglio poteva, seppero raggruppare il consenso generale intorno al progetto di far conoscere all’interno ed all’esterno della Forza Armata quanto lo Stormo era capace di fare, ed il fare è l’elemento di ogni cambiamento e la testimonianza di ogni rinascimento.
Soccorsi a tutte le ore, sembrava il motto; non ci tiriamo mai indietro, nessun tentennamento né esitazione, si va e si fa.
2Gli Specialisti, i veri signori nelle cui mani risiedeva il progetto e certamente gli elementi cardine del progetto stesso, non si videro mai persi; da loro veniva la certezza dell’affidabilità, la precisione di ogni taratura del mezzo, l’oculatezza e la cavillaggine per ogni elemento che doveva combaciare perfettamente, altrimenti non si volava. Gli Ufficiali Tecnici erano i tenutari, coloro che sapevano combinare gli elementi, difenderli, coagularli, provvedere al reperimento delle parti inefficienti, conoscere le vie e le sottovie per arrivare allo scopo, non far mancare mai nulla alla manutenzione.

E poi gli ARS.
Questa specialità è stata per molti versi introdotta a forza; si perché dovete sapere che molti proprio non la tolleravano, un tizio che pretende di correre tutto il giorno, di nuotare, di sudare, di faticare con pesi e bilancieri: ma che diavoleria era questa?
Invece si è rivelata un’idea vincente; prima, trovato il povero diavolo in mezzo ai monti o in mezzo al mare su di un gommone, si segnalava ad altri comparti la posizione ed il soccorso veniva attribuito a quest’ultimi, bella cosa vero?
Invece costoro furono i finalizzatori dello sforzo operativo, lo recuperavano, lo assistevano e lo portavano a bordo e di li a casa.
L’efficienza delle macchine permetteva di volare, di produrre ore di volo, di produrre addestramento costante, di portare a termine missioni che avevano contro sempre il tempo, il mare mosso, il buio, la neve e la nebbia.
3Addestrarsi in ogni condizioni di tempo permetteva agli equipaggi di assumere la sicurezza necessaria, elevando i limiti dei parametri di volo; recuperare una persona da una nave di notte ed in mezzo al mare, richiede abilità, concentrazione, calma e riflessione. Bisogna trovare un puntino nell’infinito mare; bisogna posizionarsi sopra, pilotare la macchina in modo da essere in sintonia con il moto della nave; bisogna saper pianificare l’intervento, sapere che chi scende appeso al cavo del verricello si fida del suo capo equipaggio; bisogna sapere che l’ARS dispone della necessaria attrezzatura, bisogna sapere che può cavarsela anche nella deprecata ipotesi di mollarlo in mezzo al mare; signori, questo non è uno scherzo di cattivo gusto, è il S.A.R.. Un pilota di un caccia in addestramento conosce perfettamente che, nel caso di lancio col paracadute, sarà trovato, sarà assistito e recuperato, sia di giorno che di notte, sia se c’è il mare mosso che se piove a dirotto; conosce perfettamente cosa deve fare e come ci si comporta in questo caso; sa che può fidarsi dei suoi colleghi del S.A.R., che sia su terra, su di un monte, in mezzo alla neve o in una landa desolata, conosce benissimo quello che sanno fare i suoi colleghi del S.A.R., quelli che soprattutto producono il senso di sicurezza, indispensabile.
Sa benissimo, pilota o equipaggio che sia, che il vecchio Leone dorme con un occhio solo ; sa che l’ARS è addestrato, sa che il 15° lo ha ben addestrato, lo ha attrezzato, lo ha preparato per ogni possibile evenienza, di loro ci si può fidare. Questo è il concetto, fidarsi del 15° e, come diceva un vecchio motto pubblicitario: “la fiducia è una cosa seria e la si da alle persone serie”.
4Guadagnarsi la fiducia, grosso compito e grosso interrogativo: come si fa?
Come fece il 15°, volando, addestrandosi, scegliendo, optando, valutando, programmando, ma soprattutto, tenendo uniti gli uomini e creando una rete di consenso socio-militare che non credo abbia eguali in nessun posto analogo.
Gli uomini del SAR, quella grande comunità che seppe privilegiare sempre la relazione umana, come base per ogni possibile successo professionale. Il processo di riscoperta, rinascita e crescita dello Stormo ha avuto come base l’impegno ed il sacrificio dei propri uomini; senza questa componente essenziale non si va da nessuna parte ed i sogni di rinascita finiscono per infrangersi contro gli eventi che si susseguono in questa civiltà che tutto dimentica rapidamente.
In questo lavoro decennale di ridefinizione dei compiti, dal diuturno, incessante SAR, alle impegnative sfide del CSAR, il personale e le macchine subirono ognuno la propria parte di modifiche; le macchine furono attrezzate ed adeguate a teatri operativi più complessi e pericolosi, ritoccando alcune parti ed irrobustendo la parte difensiva; i colori tradizionali degli HH-3F furono mutati in livree mimetiche; le combinazioni di volo cambiate in colori meno vistosi e più aderenti al futuro compito.
Gli uomini con quella preparazione continuano ad essere impiegati sia nei compiti SAR che in quelli Combat ed il loro impiego è stato di recente ampliato, visto il conseguimento della nuova capacità di controllare lo spazio aereo contro intrusioni di piccoli aerei.
Le prove testimoniano che gli uomini del 15° sanno lavorare, sanno mettere a frutto esperienze e realizzare ipotesi, sanno gestire una crisi e portano a casa il risultato.
5Su questa “gente” si può sicuramente contare, perché ha cavalcato i cosiddetti “principi” che da anni ed anni sono stati il punto di riferimento indiscusso e che li ha guidati fin qui. Nel clima più generale di una frammentazione che porta con se innumerevoli incertezze, gli uomini del 15° hanno vissuto e vivono con uno stile di vita volto al superamento di ogni crisi, vivendo non solo nell’attimo presente ma progettando un futuro per loro stessi e per il loro Stormo e non si stancano ancora.
Questa vuole essere una semplice indicazione, obbligatoria in ogni momento di passaggio, perché non è pensabile uno Stormo che non abbia né principi né metodo. É una lettura storica che serve come equipaggiamento: la voglia di capire come ed in che modo si utilizzano, bene ed efficacemente, le risorse di una Nazione.
Gli uomini del 15° si sono ben tenuti lontano da una pseudocultura semplice che banalizza o nasconde il problema, con una voglia ed una motivazione di fondo volta a capire, che significa meditare, quando si rilegge la storia di un’organizzazione che poggia la rinascita soprattutto sulla qualità degli uomini. Per fare tutto ciò, come dicevo all’inizio, è necessario imparare a fidarsi, il che vuole dire pensare e cercare di conoscere, un divertimento utile che oggi duole constatare va scemando paurosamente. Lo Stormo continuerà nel suo sacrificio, noi, Gente del Quindicesimo, continueremo ad esistere ed incentivare i legami tra il passato prossimo, il presente indicativo ed il futuro semplice.
Sappiamo benissimo che costa sacrificio, ma noi del sacrificio ne abbiamo fatto una religione e forse un’ideologia.
Mammajut!


Mammajut